sabato 27 aprile 2024

SISTEMA IMPRESA

19-12-2016

«Governo Gentiloni, sostenere le imprese è la vera priorità»

L’intervista a Berlino Tazza, presidente della Confederazione nazionale di Sistema Impresa, sul dopo referendum e sulla nascita del governo Gentiloni: «Perso troppo tempo, ora la legge elettorale e politiche incisive a favore delle aziende»




Un momento critico che impone risposte urgenti per le imprese. E’ questo il contesto nel quale si trova ad operare l’esecutivo Gentiloni e che, secondo il presidente di Sistema Impresa Berlino Tazza, deve spingere tutte le forze politiche ad una comune e repentina assunzione di responsabilità. Ciò che serve al Paese è l’assoluta priorità che va data «ad un’agenda politico-economica che rimetta al centro dell’azione di governo una strategia di sviluppo per creare ricchezza e occupazione». Ma sentiamo che cosa ci ha detto nell’intervista.

Presidente, il governo Gentiloni è nato in tempi molto rapidi. Qual è la sua valutazione?
«La velocità rivela quanto siano fondate le preoccupazioni del capo dello stato Sergio Mattarella. Il sistema Paese sta soffrendo ed è questo il motivo per cui non possiamo perdere altro tempo».

Perché dice che la situazione del Paese è grave?
«La povertà tocca quasi una famiglia con figli su quattro. Una situazione che nel meridione arriva a quasi una famiglia su due. I dati sulla disoccupazione dicono che nulla è cambiato rispetto al dicembre dello scorso anno e oscilla fra l’11% e il 12% facendo segnare prestazioni che sono fra le peggiori in Europa. La pressione del fisco non accenna a diminuire. Dal 2010 al 2015 gli italiani hanno versato 30 miliardi di euro di tasse in più allo Stato e agli enti locali. Segno che la tanto celebrata riduzione dell’imposizione fiscale non c’è stata e l’impegno, su questo fronte, è tutto da dimostrare. Dal 2014 ad oggi la spesa pubblica è stata ridotta di 25 miliardi. Parliamo del 2% del Pil. Peccato però che simultaneamente, in vari capitoli, è stata aumentata della stessa cifra. Insomma, non è stato fatto niente. E se le uscite non calano è evidente che i soldi, da qualche parte, bisogna andare a prenderli. E la fonte è sempre la stessa: cittadini, imprese, famiglie. Lo Stato soffre di un costante e assillante bisogno di soldi. Il risultato è che a metà dicembre gli imprenditori dovranno versare altri cinque miliardi di euro per la rata di Imu e Tasi sugli immobili strumentali. Un salasso. Intanto le nostre aziende pagano il gap negativo dei costi energetici, maggiori del 30% rispetto a quelli dei competitor internazionali. Il premier Gentiloni, se non vuole rassegnarsi al galleggiamento, deve avviare quanto prima iniziative di rilancio pro-industriali e riattivare con forza gli investimenti. Bisogna rimettere in moto l’economia. Le Pmi vanno agevolate nel fare incetta dei capitali necessari per sostenere la sfida della globalizzazione e vanno accompagnate nel processo di adeguamento della scala dimensionale e operativa. Dobbiamo premiare logiche di distretto e di filiera puntando a creare poli territoriali di eccellenza».

All’origine del governo Gentiloni c’è la vittoria del ‘no’ al referendum. Secondo lei l’Italia ha perso una grande occasione di cambiamento?
«Il governo Renzi ha alimentato molte speranze che sono state disattese in corso d’opera. La bocciatura della riforma costituzionale è certamente l’episodio più clamoroso di un’occasione che poteva essere molto utile, ma che non si è voluto cogliere con un realistico spirito di condivisione. Le modalità che hanno accompagnato il percorso legislativo, tutte all’insegna di una forzatura che ha inasprito l’originario disallineamento delle forze politiche, erano sbagliate almeno quanto i contenuti. Il tentativo di modifica non produceva un sostanziale snellimento sul fronte degli iter legislativi, non aboliva il bicameralismo, creava una confusione imperdonabile in merito all’attività dei senatori e tutto ciò in assenza di una imponente spending review. A ciò si deve aggiungere l’errore  di sminuire l’indiscutibile valore del regionalismo a favore di un neocentralismo che è risultato incomprensibile agli stessi elettori del partito di maggioranza relativa e ha spaventato la gran parte dei cittadini. Un fallimento al quale si deve aggiungere la bocciatura da parte della Consulta della legge Madia sulla pubblica amministrazione e il pericolo del referendum che grava sul Jobs Act che a mio avviso è stato un provvedimento costruttivo anche se mi è sfuggita la ragione che ha fatto venire meno gli incentivi per le assunzioni a tempo indeterminato. I 387 milioni di voucher per quasi quattro miliardi di euro, venduti dal 2008 fino a settembre 2016, devono far pensare che questa è una risorsa che può servire alle imprese e generare occupazione altrimenti destinata all’inattività o al sommerso».

Gentiloni ha detto che il governo rimarrà in carica fino a quando avrà la fiducia del parlamento. Che cosa ne pensa?
«Il fatto che ora si avverta la necessità di elaborare una legge elettorale che provveda a definire una formula omogenea per la Camera e il Senato, dimostra in modo chiaro che la governabilità e la stabilità derivano prioritariamente dalla modalità con cui si trasformano i voti in seggi. Il che sta a significare che è stato uno sbaglio infondere così tante risorse nell’architettare una riforma costituzionale che alla fine si è infranta contro la volontà del popolo. Nella vittoria debordante del ‘no’ riscontro indubbiamente un giudizio negativo su una riforma che nel merito non ha convinto, ma vedo anche la presenza di una reazione di protesta che denota un rinnovato desiderio di partecipazione e di protagonismo. I cittadini, come prescrive la democrazia, vogliono esercitare liberamente il diritto del voto scegliendo i propri governanti. Negli ultimi mille giorni la guida del Paese è stata affidata ad un presidente del consiglio non eletto dal popolo e che, sotto questo punto di vista, ha rappresentato una continuità rispetto agli ultimi due predecessori. Non ci si può illudere che questi elementi non abbiano avuto un peso determinante sull’opinione pubblica che, appena ha potuto, si è espressa con una forza dirompente. Detto questo il governo Gentiloni ha ottenuto la fiducia del parlamento e fino a quando questa non verrà meno ha tutto il dovere di svolgere la propria attività proponendo le soluzioni che ritiene più idonee. E’ ».

Sistema Impresa è una confederazione nazionale che riunisce oltre 120mila imprese per 960mila addetti. Qual è lo stato di salute della rappresentanza economica?
«Il governo Renzi ha commesso l’errore di scatenare una vera e propria guerra ai corpi intermedi. La legge di abolizione delle Camere di Commercio va di pari passo con quella delle Province e con la drastica riduzione che si voleva imporre all’autonomia delle Regioni. Ma la realtà dice che il sistema camerale è sempre stato prezioso per l’azione di coordinamento e di valorizzazione delle economie locali mentre le amministrazioni regionali e provinciali devono essere ricondotte all’interno di una sistematico utilizzo dei costi standard. La prossimità della gestione della cosa pubblica va garantita come prescrive il pilastro europeo della sussidiarietà e, quando si opera in modo lungimirante e oculato, gli attori privati si abituano a vedere nelle articolazioni periferiche dello Stato un valido interlocutore. Il mondo della rappresentanza economica può apparire in difficoltà per gli effetti devastanti della crisi. Dal 2008 ad oggi sono fallite 82mila imprese che salgono ad oltre 100mila se si considerano le procedure concorsuali e le liquidazioni volontarie. In tutto abbiamo perso più di un milione di posti di lavoro. Solo nel primo trimestre del 2016 hanno abbassato definitivamente le saracinesche quasi 30mila negozi. Un’emergenza che richiede strategie complesse che sono lontane dalla disponibilità immediata degli imprenditori. Oggi il buon funzionamento di un’attività richiede competenze avanzate in materia di regolamenti, bandi, tecnologia, informatizzazione, marketing, credito. Un lavoro che può essere svolto solo da realtà associative strutturate, radicate nei territori, capaci di fornire professionalità qualificate e servizi strategici. Lo stesso vale per la politica. Per educare gli elettori ad una cittadinanza attiva, matura e consapevole bisogna tutelare i soggetti deputati alla condivisione delle decisioni collettive».

L’Unione Europea è un ostacolo alla crescita o un’opportunità per le nostre aziende?
«L’Export italiano ha un saldo commerciale positivo di oltre 120 miliardi di euro. In sintesi esportiamo più di quanto importiamo. Rappresentiamo la quota del 2,8% del commercio mondiale. E i Paesi Ue fanno la parte del leone a riprova che l’Unione non può che essere un’opportunità per le aziende italiane. Ma non si può negare che il rapporto con Bruxelles, oggi, contenga forti criticità. Con l’ultima finanziaria abbiamo sforato rispetto alle attese del parametro deficit-Pil. A ciò si deve aggiungere la volontà di salvaguardare la tenuta del nostro sistema bancario attraverso l’intervento statale. Inoltre pesa enormemente l’emergenza migranti dove il governo non ha saputo operare con efficienza e prontezza. Il nostro debito pubblico, pari al 135%, non aiuta sicuramente. Il debito della Germania è pari al 68% del Pil mentre la Francia è al 100%. Siamo la terza economia europea ma primeggiamo nel debito pubblico. In tutta risposta Renzi ha bloccato il bilancio comunitario. L’impressione è che i partner ci chiederanno di rimuovere il veto, mettere in sicurezza i conti, contenere il debito. E tutto questo alla svelta».

Quale potrebbe essere un segnale positivo che viene dall’Europa?
«Potrebbero essere due. Nel consiglio europeo che ha visto l’esordio di Paolo Gentiloni abbiamo assistito alla riconferma delle sanzioni contro la Russia fino a metà del 2017. Alle nostre aziende sono già costate 3,6 miliardi di euro. Vanno abolite il prima possibile. Un altro segnale incoraggiante potrebbe essere l’elezione di Antonio Tajani a presidente del parlamento europeo. Visto il modo con cui ha sempre interpretato la sua azione politica mai disgiunta dalle vere necessità delle imprese, sarebbe un motivo di speranza per il tessuto produttivo del nostro Paese che ha bisogno di individuare nell’Unione Europea un soggetto pronto a comprendere le esigenze di chi intraprende, rischia in proprio, e ha l’obbiettivo di realizzare prosperità per sé e per gli altri. Sarebbe anche il modo migliore per riaffermare l’importanza del nostro Paese dentro l’edificio comunitario. L’Italia, da troppo tempo, è sottostimata con il risultato che molto spesso le politiche stabilite da Bruxelles ci risultano indifferenti o, peggio, direttamente ostili».

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